Il turismo gastronomico è un fenomeno mondiale in continua crescita. L’inchiesta di mercato “American Culinary Traveler Report” del 2013 dalla Mandala Research sui viaggiatori gastronomici di provenienza Stati Uniti già indicava che circa tre quarti dei turisti intervistati avevano partecipato ad attività legate al cibo e al vino, e la metà volevano avere accesso a esperienze eno-gastronomiche memorabili.
Anche in Italia, i dati ENIT relativi al 2015 mostrano la spesa degli stranieri per l’enogastronomia in forte crescita (+54,8% rispetto al 2012), con un fatturato di 192 milioni di euro.
All’interno di questa tendenza i prodotti tradizionali – spesso supportati in Italia da indicazioni geografiche come DOP e IGP e da etichette nazionali quali i PAT – Prodotti Agroalimentari Tradizionali possono svolgere una funzione catalizzatrice rispetto all’interesse di turisti che vogliono conoscere costumi locali, storie, e produzioni uniche.
I viaggiatori più intraprendenti, che non raramente coincidono con quelli con più ampia capacità di spesa, vogliono uscire dalle “bolle” spesso artificialmente create intorno a loro e interagire anche a livello sensoriale ed emozionale con i territori che visitano. Non per niente, l’autenticità, idea complessa e a volte abusata, è diventata un mantra nel turismo enogastronomico internazionale.
Un aspetto a volte non considerato a sufficienza è il ruolo che i prodotti tradizionali possono assumere nello sviluppo di forme di turismo sostenibile. Se consideriamo la sostenibilità a lungo termine non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico, coltivazioni e manifatture agroalimentari assumono una rilevanza centrale nell’assicurare la trasmissione di conoscenze e tecniche tradizionali, nel creare occupazione a livello locale che può trasformarsi in moltiplicatore e volano imprenditoriale, e nel mantenere e valorizzare identità locali che nei decenni passati erano state spesso minacciate da movimenti migratori verso le grandi città e le aree più produttive del paese.
I disciplinari delle varie specialità alimentari, inoltre, possono (e dovrebbero sempre!) contenere incentivi e direttive per assicurare il rispetto dell’ambiente, metodi produttivi sani e di alta qualità, e interazioni fra comunità e paesaggio finalizzate da un lato ad aumentare il livello di qualità di vita per chi risiede nelle aree interessate, dall’altro a rendere la visita più’ attrattiva per i turisti.
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Professor and Director of Food Studies Initiatives at the New School in New York City.
Recent books include Bite me! Food in Popular Culture (2008), the six-volume Cultural History of Food (2012, co-edited with Peter Scholliers), Al Dente: A History of Food in Italy (2014, translated into Italian in 2015 and into Korean in 2017), Feasting Our Eyes: Food, Film, and Cultural Citizenship in the US (2016, authored with Laura Lindenfeld), and Knowing Where It Comes From: Labeling Traditional Foods to Compete in a Global Market (2017).